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Indice dei contenuti
Levi: Elogio dell’impurità
[…]
A me, il primo giorno, toccò in sorte la preparazione del solfato di zinco: non doveva essere troppo difficile, si trattava di fare un elementare calcolo stechiometrico, e di attaccare lo zinco in granuli con acido solforico previamente diluito; concentrare, cristallizzare, asciugare alla pompa, lavare e ricristallizzare. Zinco, zinc, Zinck: ci si fanno i mastelli per la biancheria, non è un elemento che dica molto all’immaginazione, è grigio e i suoi sali sono incolori, non è tossico, non dà reazioni cromatiche vistose, insomma, è un metallo noioso. È noto all’umanità da due o tre secoli, non è dunque un veterano carico di gloria come il rame, e neppure uno di quegli elementini freschi freschi che portano ancora addosso il clamore della loro scoperta.
Caselli mi consegnò il mio zinco, tornai al banco e mi accinsi al lavoro: mi sentivo curioso, “genato” e vagamente scocciato, come quando hai tredici anni e devi andare al Tempio a recitare in ebraico la preghiera del Bar-Mitzvà davanti al rabbino; il momento, desiderato e un po’ temuto, era giunto. Era scoccata l’ora dell’appuntamento con la Materia, la grande antagonista dello Spirito: la Hyle, che curiosamente si ritrova imbalsamata nelle desinenze dei radicali alchilici: metile, butile eccetera.
L’altra materia prima, il partner dello zinco, e cioè l’acido solforico, non occorreva farselo dare da Caselli: ce n’era in abbondanza in tutti gli angoli. Concentrato, naturalmente: e devi diluirlo con acqua; ma attenzione, c’è scritto in tutti i trattati, bisogna operare alla rovescia, e cioè versare l’acido nell’acqua e non viceversa, altrimenti quell’olio dall’aspetto così innocuo va soggetto a collere furibonde: questo lo sanno perfino i ragazzi del liceo. Poi si mette lo zinco nell’acido diluito. Sulle dispense stava scritto un dettaglio che alla prima lettura mi era sfuggito, e cioè che il così tenero e delicato zinco, così arrendevole davanti agli acidi, che se ne fanno un solo boccone, si comporta invece in modo assai diverso quando è molto puro: allora resiste ostinatamente all’attacco. Se ne potevano trarre due conseguenze filosofiche tra loro contrastanti: l’elogio della purezza, che protegge dal male come un usbergo; l’elogio dell’impurezza, che dà adito ai mutamenti, cioè alla vita. Scartai la prima, disgustosamente moralistica, e mi attardai a considerare la seconda, che mi era più congeniale. Perché la ruota giri, perché la vita viva, ci vogliono le impurezze, e le impurezze delle impurezze: anche nel terreno, come è noto, se ha da essere fertile. Ci vuole il dissenso, il diverso, il grano di sale e di senape: il fascismo non li vuole, li vieta, e per questo tu non sei fascista; vuole tutti uguali e tu non sei uguale. Ma neppure la virtù immacolata esiste, o se esiste è detestabile. Prendi dunque la soluzione di solfato di rame che è nel reagentario, aggiungine una goccia al tuo acido solforico, e vedi che la reazione si avvia: lo zinco si risveglia, si ricopre di una bianca pelliccia di bollicine d’idrogeno, ci siamo, l’incantesimo è avvenuto, lo puoi abbandonare al suo destino e fare quattro passi per il laboratorio a vedere che c’è di nuovo e cosa fanno gli altri.
Primo Levi, Il sistema periodico, Zinco
Beckett: Dare e ricevere
“ Fin dall’inizio, tutta l’impresa ha funzionato perché si è stabilita una relazione alla luce della quale la relazione terapeutica si riduceva ad un semplice pretesto.
Quello che era importante non era che noi avessimo la penicillina mentre loro non l’avevano, non era la generosa liberalità del ministro francese per la Ricostruzione (come si chiamava allora), ma che si riuscisse, a volte, a intravedere noi in loro e – chissà(visto che è un popolo dotato di immaginazione)- loro in noi, quel sorriso che compare quando si pensa alla condizione umana, un sorriso che neanche le bombe sono in grado di cancellare(….)- un sorriso che, fra le altre cose,rovescia in derisione gli abbienti e i non abbienti,quelli che danno e quelli che prendono, la malattia e la salute (…)
….Detto questo, posso forse avanzare un’altra ipotesi, più remota ma probabilmente di una portata più grande in certi ambienti, intendo l’eventualità che, tra quelli che sono stati a Saint-Lò, qualcuno torni a casa rendendosi conto di avere ricevuto per lo meno nella stessa misura di quello che ha dato, e di avere in realtà ricevuto quello che difficilmente sarebbe stato in grado di dare: la visione e un senso immemorabile d’un concetto d’umanità in rovina, e di essere forse riusciti persino ad intravedere i termini in cui dovrebbe essere ripensata la nostra condizione umana. “
Samuel Beckett, La capitale delle rovine (1946), sul suo servizio come volontario della croce rossa a Saint Lô devastata dalle bombe nel 1945.
Tolstoj: Gerasim
«E’seccante fare questo,no? Mi devi scusare, ma non posso fare diversamente. »
«Macché. »
E Gerasim fece vedere i suoi giovani, bianchi denti, e gli occhi gli brillarono.
«Perché non dovrei farlo? Voi siete malato. » […]
Da quel giorno Ivan Il’ič cominciò a chiamare ogni tanto Gerasim perché gli tenesse i piedi sulle spalle, e gli piaceva parlare con lui. Gerasim gli rendeva quel servizio senza difficoltà, volentieri, sem¬plicemente, con una bontà che lo commuoveva. La salute, la forza, la baldanza vitale di chiunque altro offendevano Ivan Il’ič; soltanto la forza e la baldanza di Gerasim non gli facevano male, anzi lo calmavano.
Il principale tormento di Ivan Il’ič era la men¬zogna — la menzogna chissà perché adottata da tutti — che lui fosse soltanto malato, non già sulla via di morire, e che gli bastasse star tranquillo e curarsi, e allora ne sarebbe venuto tutto di bene […]. Solo Gerasim lo capiva e aveva pietà di lui. Epperò Ivan Il’ič stava bene solo con Gerasim. Stava bene solo quando Gerasim, talvolta per intere notti, gli teneva i piedi e non voleva andarsene a dormire replicando : «non vi preoccupate, Ivan Il’ič, farò sempre a tempo a dormire»; o quando, passando al tu, aggiungeva d’un tratto: «non fossi malato, ma così perché non ti dovrei servire?» Solo Gerasim non mentiva. Era chiaro che solo lui capiva come stavano le cose e non stimava necessario nasconder nulla, ed era semplice quella sua pietà per un padrone debole, sfinito. Anzi, una volta disse addirittura ad Ivan Il’ič che voleva mandarlo via: «Tutti morremo. Perché non dovrei fare quello che faccio?», intendendo con ciò che la sua assistenza non gli pesava appunto perché la portava a un moribondo, e sperava che, quando fosse venuta la sua ora, avrebbe avuto anche lui qualcuno ad assisterlo.
(Lev N. Tolstoj, La morte di Ivan I’lič (1886), trad. di Tommaso Landolfi, BUR, 1976)
La Bibbia: Amerai lo straniero …
“Quando uno straniero dimorerà presso di voi nel vostro paese, non gli farete torto. Lo straniero che abita fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l’amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio” (Levitico 19,33-34)
Morin: Le vie della complessità
Il problema della complessità non consiste nella formulazione di programmi che le menti possano inserire nel loro computer. La complessità richiede invece la strategia, perché solo la strategia può consentirci di avanzare entro ciò che è incerto e aleatorio. (…).
La strategia è l’arte di utilizzare le informazioni che si producono nell’azione, di integrarle, di formulare in maniera subitanea determinati schemi d’azione, e di porsi in grado di raccogliere il massimo di certezza per affrontare ciò che è incerto.
Da E. Morin, Le vie della complessità, in G. Bocchi
M. Ceruti (a c. di), La sfida della complessità, Milano, 1985, Milano, 1994
Sclavi: Le termiti strategiche
L’approccio organizzativo generale adottato alle Central Park East Schools corrisponde a quello che un noto studioso di management, Gareth Morgan, ha chiamato “il procedimento delle termiti strategiche”. Per la verità le termiti non sono animali molto simpatici, ma a parte questo la metafora ha il vantaggio di illustrare un modo di procedere adatto a situazioni in cui si tratta di perseguire “ cautamente e tuttavia efficacemente, un grosso cambiamento in situazioni difficili”; situazioni (come i quartieri a rischio) dove “il processo di leadership e la conduzione del cambiamento non possono essere basate su un piano strategico dettagliato, e nemmeno imposte. Debbono affermarsi e formarsi in modo autorganizzato ed evolutivo”. A mio parere questa metafora consente di mettere a fuoco un aspetto fondamentale della rivoluzione promossa da Deborah Meier e dalle sue collaboratrici nelle loro scuole: la capacità di uni re la relativa semplicità dei principi ispiratori e la complessità dei modi di operare. Vediamo dunque. di cosa si tratta.
All’inizio il terreno su cui sorgerà il termitaio è completamente piatto. Le termiti incominciano a costruire dei minuscoli cumuli di terra qua e là, in modo casuale, evitando o incorporando man mano sassi, erbe o altro, e gradualmente questi piccoli accenni di colonna diventano il punto focale di un’incessante attività costruttiva, che si traduce in colonne abbastanza ravvicinate da formare una sorta di fungaia. Quando le colonne arrivano a una certa altezza, cessa il lavoro di costruzione verso l’alto e comincia quello di copertura a cupola. Anche qui: ogni collegamento a forma di volta condiziona e ispira la costruzione successiva. E’ una sorta di architettura non pianificata, costituita da uno stupefacente intrico di caverne e gallerie intercollegate, ventilate e opportunamente umidificate.
Dallo studio del comportamento delle termiti – sostiene Morgan – emerge un’ipotesi molto stimolante: la costruzione del termitaio è frutto di un processo autorganizzato, nel quale “l’ordine nasce dal caos”. I termitai sono tutti abbastanza simili, ma estremamente diversi nei particolari. E’ impossibile prevederne in anticipo la struttura dettagliata. Il capolavoro si sviluppa come risultato di un’attività casuale, caotica, diretta ad un centro generale di finalità e orientamento, ma in modo estremamente libero. (…) Le termiti strategiche sono (questa espressione mi piace decisamente di più) dei bricoleur che seguono uin approccio di tipo incrementale e adattivo. Costruiscono su idee, azioni ed eventi da loro stessi provocati o che si presentano spontaneamente. Hanno “piani”, ma non li seguono pedissequamente: operano liberamente. Questa struttura e dinamica formale a ben vedere si potrebbe applicare quasi ad ogni aspetto del lavoro scolastico.
Da La signora va nel Bronx di Marinella Sclavi